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Madonna del Ricamo
 
 
 
 

Guardando al domani sul "filo" della memoria

Solo da poco sappiamo che la Madonna del ricamo di Vitale da Bologna, che oggi fa parte delle collezioni d'Arte della Fondazione Cassa di Risparmio di Bologna, era posta su uno dei pilastri dell'abside della chiesa di San Francesco . Commovente il recupero del dipinto, dopo l'arrivo delle armate napoleoniche, dettato da ragioni di devozione che costituiscono la prima storia della conservazione di un dipinto di soggetto sacro. L'affresco - come ricorda Rosa d'Amico nel saggio in questo volume - era un punto di riferimento significativo, nella grande Chiesa francescana, per la devozione e la pietas cristiana. Essa infatti era un'immagine ritenuta miracolosa. Miracoli recenti, vivi nella memoria della comunità, sottolineati da una serie di prodigi accaduti appena nel 1790.

Proviamo ad immaginare il disagio di chi era abituato a pregare davanti alla preziosa "icona" e che ora, nell'anno 1801, assisteva alla profanazione della sacralità di quella chiesa, privata dei frati e saccheggiata da un esercito straniero. Gli interessanti valori sociali e politici dei nuovi "cittadini", cresciuti a seguito delle armate napoleoniche, sorretti da un pensiero fecondo, avevano bisogno di un ordine nuovo. Non saranno stati né i primi né, purtroppo, gli ultimi. Il disegno di civilizzazione dei popoli proponeva anche, per una rapida diffusione delle nuove idee, la soppressione dei tradizionali punti di riferimento cristiani: dagli ordini religiosi allo stesso pontefice il cui ruolo andava se non altro ridimensionato.

Le chiese, punti di riferimento dei "cittadini" bolognesi, erano luoghi che più di altri aggregavano e rallentavano pertanto il cammino della nuova civiltà e su di esse soprattutto si appuntò l'attenzione della rinnovata classe dirigente.

Silenziosamente, con piccoli segni e mettendo in atto un'opposizione non violenta, la comunità dei credenti compie i suoi passi per preservare dalla distruzione la propria identità.  Tanti singoli cristiani, quasi mai organizzati in gruppi consistenti, la cui resistenza è del tutto spontanea. Essa si concretizza - diremmo oggi - nei modi consentiti dalla Legge: sopperendo alla mancanza del clero regolare; mettendo in salvo non gli arredi più preziosi, ma quelli fondamentali per il culto e la devozione; riscattando - quando possibile - le opere d'arte requisite dai "liberatori" e depositandole poi nella chiese ancora aperte al culto, mantenendone però la proprietà privata onde impedire nuove requisizioni .

La famiglia Beccadelli aveva con questa bella Madonna un rapporto davvero personale. La grazia che le attribuivano riguardava una loro figlia. Il loro rapporto di devozione era pertanto reso vivo da questa supposta risposta mariana alla loro preghiera. Per essi era ancor più difficile lasciare in un magazzino doganale l'immagine che avevano venerato, che ricordava loro il legame tra la terra e il cielo.

Davanti  a questa venerata raffigurazione, posta su uno dei pilastri dell'area absidale della bella chiesa di San Francesco, adesso, cacciati i frati, sostavano indisturbati carri, merci, mercanti che magari addossavano a quei sacri pilastri le loro mercanzie.

E i Beccadelli chiedono e ottengono dagli uffici preposti, di poter acquistare la loro Madonna. Immagino la soddisfazione dei gabellieri che erano riusciti a vendere niente di meno che un pezzo di superstizione, liberando al contempo il pilastro da quella scomoda presenza. Non era possibile escludere che l'icona avesse potuto turbare la sopita coscienza di qualche cittadino che non aveva ancora assimilato del tutto i nuovi valori della libertà. Meglio relegare l'icona in casa di qualche reazionario incapace di intendere le nuove frontiere dello spirito e stolto a sufficienza da comprare un pezzo di muro facendosi pure carico delle spese per il ripristino del pilastro. Del resto l'opera non era sufficientemente importante da essere requisita per le collezioni della Francia napoleonica. In quegli anni il dipinto doveva apparire rozzo e sgraziato, agli antipodi rispetto alla qualità dell'inarrivabile Giotto.

Il funzionario napoleonico avrà immaginato di aver condotto un buon affare e forse avrà avuto un momento di scoraggiamento pensando alla strada che restava da fare per liberare il popolo da una radicata superstizione religiosa. I Beccadelli si attivarono per staccare il pezzo di muro con l'immagine mariana e trasferirla nella loro casa per poi portarla, il 18 marzo del 1801, nel loro "Casino di villeggiatura" a Pradalbino. L' Icona sembrò approvare quest'affaccendarsi attorno alla sua immagine e manifestò la sua attenzione liberando dalle convulsioni la piccola Marianna, altra figlia dei Beccadelli. Così almeno pensarono i superstiziosi Beccadelli che non disponevano delle nostre sofisticate medicine.

Possiamo supporre che la vendita del pezzo di muro ai Beccadelli abbia proprio soddisfatto tutti. Per primi i funzionari del governo che si erano liberati di un'immagine che poteva imbarazzare qualcuno. Quegli sguardi penetranti tra madre e figlio quell'additare del figlio verso il basso, quasi a voler attirare l'attenzione della Madre forse verso un committente  e per suo tramite verso l'umanità in attesa, in quegli anni bui e innovativi, sembrava chiedere il perché di quel capovolgimento di valori.

Averla rimossa da quel pilastro è stato opportuno per tutti: per le casse dell'erario innanzitutto, poi per i cittadini che così evitavano di essere "tentati" dalle superstizioni del loro oscuro passato. In una casa privata, in campagna, avrebbe certamente fatto meno danni che se fosse rimasta sul pilastro di quel frequentato magazzino doganale che ancora profumava d'incenso. Il ritorno a casa dell'icona - perché è casa per una immagine sacra non solo la Chiesa, ma dove "due o tre sono riuniti nel mio nome" - è salutato da quel piccolo segno d'attenzione verso la figlia dei Beccadelli che di fatto chiude questo primo momento della nostra storia.

Relegata in campagna, l'immagine viene dimenticata dalla storia, anzi dagli storici. Sparita dalla chiesa francescana se ne perde ogni memoria e possiamo solo immaginare la devozione e le preghiere di una comunità non ricordata dai documenti, ma non per questo priva di momenti significativi.

Riemergerà dall'oblio solo nel 1978 ancora nella sua chiesa, ormai abbandonata e pericolante. Avevano in parte avuto ragione quanti avevano voluto sradicare un pezzo di superstizione. Ma dopo appena 160 anni - un'inerzia per un'immagine sacra - nuove mani si posano su questo prezioso reperto. Comincia una nuova stagione fatta di studi per la conoscenza dei materiali che la costituiscono. Per identificare l'autore di quest'opera la cui straordinaria qualità apparve subito eccezionale a Rosa D'Amico e ai restauratori che ebbero la ventura di posare per primi gli occhi e le mani su questa icona che riappariva da uno sconosciuto passato. Poi, con il tempo, si saprà della provenienza dalla chiesa di San Francesco, ma in quei primi momenti c'era solo la singolare rilevanza della pittura che riemergeva man mano che Camillo Tarozzi, Silvia Baroni e la "squadra" di giovani volenterosi rimuovevano quanto si era accumulato su quell'antica immagine.

Il nome di Vitale da Bologna veniva così associato ad un'opera che presentava una ricchezza decorativa, mai vista a Bologna su una pittura murale. E poi il sentimento, l'incredibile incontro "operoso" tra Madre e Figlio. Gli sguardi di un affetto inenarrabile che al contempo tocca vette irraggiungibili commiste di umanità e regalità. La Madre soprattutto rifulge di una aristocratica bellezza quasi palpabile nella materia corposa che si lascia carezzare. Ancor più comprensibile se solo integriamo l'immagine con i suoi ricchi decori. Una veste tutta ricamata, il cielo pieno di stelle a rilievo, il cuscino finemente decorato, i raggi che sembrano circondare l'intero corpo mariano. Ma verace contrappunto alla solenne aristocratica immagine è la profondità penetrante dello sguardo. Il dialogo fatto di gesti e parole appena sussurrate tra Madre e Figlio. Quell'aristocrazia delle forme che altrove avrebbero posto i Protagonisti  su un alto scanno regale qui vengono umanizzate dalla presenza di due persone vive e colte nel momento di un intenso e misterioso colloquio. Un'intimità vissuta con straordinario realismo fatto di perfetti equilibri formali. Probabilmente accentuati dalla cura avuta nel preservare, durante il restauro, i materiali originari che forse hanno poi reso difficile, sebbene assodato, l'inserimento dell'opera nei più recenti studi dedicati a Vitale degli Equi.

L'opera si discosta dagli affreschi noti del maestro proprio per i volumi delle vesti che ingentiliscono le figure, ammorbidiscono i lineamenti, controllano i movimenti. So che è difficile pensarlo, ma mi chiedo se quest'opera non possa rappresentare un modello per immaginare le "forme" nella cena di San Francesco  o nel Presepe di Mezzaratta.

Con il 1978  si apre una nuova stagione per l'antica "icona" del tempio francescano. Non più oggetto di devozione, finisce tra le mani di chirurghi estetici (i restauratori) e psichiatri (gli storici dell'arte) che tentano di carpirne i segreti. Fortunatamente gli studi di Rosa d'Amico provano a penetrare la sacralità del dipinto proponendone una lettura iconografica di eccezionale valore per il culto e la tradizione. I suoi interventi, qui riproposti e perfezionati, ripercorrono la storia di questa "Madonna operosa" colta nel momento di "ricamare" il tessuto posto sulle sue ginocchia. Il filo di difficile lettura, ma che le foto evidenziano in tutta la sua corposa presenza, è anch'esso il frutto di un restauro accorto che ha saputo distinguere e conservare elementi pittorici che potevano non essere riconosciuti e conservati.

Dopo il restauro e la presentazione l'opera è stata ospitata in questi trent'anni in una delle sale della Pinacoteca Nazionale. La sua storia sembrava così stabilmente consolidata e in certo qual modo destinata ad essere incrementata solo nell'ambito degli studi accademici, perdendo ormai del tutto quel primo legame con la devozione francescana.

Ma gli straordinari percorsi di vita di ogni persona riservavano al dipinto altre sorti. Negli anni di una incredibile guerra che ha seminato tanti risentimenti nei Balcani, la D'Amico ha avuto la possibilità e il coraggio di parlare in quei territori, dei legami tra occidente e oriente cristiano. Lo ha fatto mettendo a confronto la nostra opera con analoghi soggetti orientali e più specificamente Serbi.

Mentre l'opera restava custodita nella Pinacoteca di Bologna, attraverso riproduzioni fotografiche, in Serbia la "Madonna del ricamo" diventava il tramite per esplorare un tema iconografico presente "Tra le due sponde dell'Adriatico" come più tardi si intitolerà una mostra  che riassumerà anche questi percorsi di studio.

Un'icona che sembra destinata a camminare ancora. La recente donazione del dipinto da parte della proprietà alla Fondazione Cassa di Risparmio di Bologna inserisce l'opera nei nuovi spazi del costituendo "Museo della città", anzi ne fa uno dei punti di riferimento. La sua rilevanza sembra così destinata a crescere e ad aprire ulteriori strade per una sua migliore comprensione.

Lo testimonia anche l'evento culturale con il quale la Fondazione Cassa di Risparmio di Bologna ha inteso promuovere la conoscenza dell'opera e lo ha fatto provando ad allargare la tradizionale utenza che solitamente è presente agli eventi artistici.

Il dipinto è affiancato in mostra da un rilievo tattile tradizionalmente destinato alle persone con difficoltà visive. Sarà così possibile esplorare con il tatto il dipinto. L'obiettivo che mi sono proposto non è comunque di realizzare un ausilio per non vedenti, ma di cercare una strada che porti ad un'integrazione tra le persone. L'opera ci è giunta in uno stato conservativo molto diverso dall'originale. Non abbiamo più sulla veste i ricchi decori che l'adornavano. Le foto UV consentono però di rilevare la traccia pressoché integrale del disegno che attraversava la veste della Madonna. Questi segni sono serviti allo scultore Marco Marchesini, che ha creato il modello tattile, per riproporre il disegno del ricamo. Realizzato a rilievo, potrà essere esplorato con il tatto e al contempo consentirà a tutte le persone, anche a quelle che possono "vedere", ma non  è poi detto che siano in grado di "guardare", di apprezzare la ricca decorazione dell'opera. È stato così possibile evidenziare anche il filo che al tatto risulterà come un sottile segno a rilievo e per le persone che vedono sarà occasione per guardare l'opera, confrontando quanto evidenziato sul modello, ma che è del tutto visibile, sia pure attraverso un esile segno, sul dipinto.

L'obiettivo è anche quello di superare qualche barriera comportamentale. L'opera e il suo rilievo sono una accanto all'altra perché l'una serve all'altra. Quello che presentiamo è un modo di fare cultura che non teme il confronto né ha paura di mostrare accanto al dipinto uno strumento di conoscenza destinato prevalentemente al non vedente, ma che - ho provato a spiegarlo - serve a tutti. Non solo, come in questo caso, per una migliore percezione dell'opera, ma anche per far comprendere, ad ognuno di noi, che accanto a noi esistono Persone con i nostri stessi diritti, per le quali non si fa niente in occasione di eventi culturali, pur rilevanti  e di valenza nazionale. Ci proviamo da questo piccolo osservatorio bolognese, immaginando un modello operativo che spero possa essere ripetuto e diventare un punto di forza per le iniziative culturali della Fondazione.

Non la ricerca di percorsi differenziati come la realizzazione di sale dedicate alle disabilità, ma vie pensate per l'integrazione delle Persone attraverso la cultura. Percorsi per tutti in cui ognuno imparerà a stare accanto all'altro senza pietismi, consapevoli del valore che ha la Persona e senza provare imbarazzo se accanto ad un capolavoro di Vitale da Bologna c'è un rilievo tattile che servirà a capire meglio il valore del dipinto. Con semplicità e senza timori, evitando di costruire un angolo in cui porre il rilievo, magari allontanandolo dal dipinto originale per non contaminarlo: non si tratta di contaminazione, ma di integrazione.

Il rilievo tattile non risolverà i nostri problemi di integrazione né l'integrazione potrà esaurirsi pensando, eventualmente, ai non vedenti. Molte altre Persone attendono di essere coinvolte nei nostri processi cognitivi: si tratta dei così detti disabili, ma soprattutto di un variegato mondo che non frequenta gli spazi culturali: dal teatro alle esposizioni. Probabilmente non tutti saranno interessati a queste espressioni artistiche, ma è altrettanto vero che poco si è fatto da parte delle Istituzioni e delle Persone che nelle Istituzioni lavorano, per costruire percorsi destinati ai nostri anziani, ai giovani, a quanti attraversano le nostre strade e, pur vedendo, non riescono a guardare così come, pur udendo, non sanno ascoltare.

Sto riprendendo un pensiero di Sant'Agostino, dal discorso 288, il quale distingue tra voce e Verbo. Intende la voce come un suono destinato a rendere operativa la Parola. Chi grida, geme, urla è solo voce. Ciò che distingue la voce dalla parola è l'intelligibilità. Mi sono permesso di estendere questo concetto distinguendo tra chi vede e chi guarda. Ci sono persone che, per un loro limite fisico, non possono vedere, ma non è detto che non possano guardare, esplorando con la loro sensibilità e aiutati dal tatto e dalla parola, anche un dipinto. Nel guardare abbiamo tutti dei limiti. Quante volte ci è capitato di  guardare un oggetto come se lo vedessimo per la prima volta. Quante volte abbiamo sentito un brano musicale o una poesia senza avere alcuna sensazione per poi finalmente riuscire ad ascoltare, penetrando il testo e la musica.

Con questo segno stiamo semplicemente provando a superare una barriera grazie anche all'aiuto di Loretta Secchi, una vera autorità nel settore, che opera in collaborazione con l'Istituto per ciechi Francesco Cavazza di Bologna coinvolto dalla Fondazione in questa iniziativa.
E siamo anche consapevoli che la materia che trattiamo sta solo muovendo i primi passi, che molto si può ancora fare e che le nuove tecnologie informatiche apriranno sicuramente altri impensati scenari.

Il libro che accompagna questa esposizione presenta anche un disegno in braille che riproduce il contorno del dipinto. Probabilmente a molti non riuscirà immediata la lettura tattile del semplice rilievo così ottenuto. Bisognerà farsi aiutare per comprendere. Il rilievo è stato realizzato dal "Centro internazionale del Libro Parlato" di Feltre. Il disegno fa parte integrante del libro. Non è un foglietto volante destinato ai non vedenti, ma uno strumento per consentire a tutti di conoscere una realtà magari non immaginata e prendere consapevolezza che anche un non vedente può provare a guardare un dipinto.

Certo non abbiamo fatto tutto. C'è un rilievo tattile, ma il non vedente avrebbe potuto essere accompagnato in mostra da una guida sonora. Sono state previste delle visite guidate per gruppi di non udenti, ma non c'è un sito internet accessibile. Il libro avrebbe potuto essere accompagnato da un cd "parlato" per consentire la lettura integrale del testo scritto, ma non c'è stato il tempo per farlo. Speriamo comunque che questo piccolo seme possa trovare accoglienza tra gli operatori culturali e possa essere replicato, migliorandolo, in altre più significative occasioni.

Saranno obiettivi che proveremo a perfezionare in altre occasioni. Abbiamo comunque provato a lanciare un segnale concreto: la Cultura deve essere strumento di Integrazione e non di separazione. Un sogno per l'immediato futuro è quello di non vedere più grandi o piccole mostre prive del tutto di attenzione verso persone che ci stanno accanto, che potrebbero partecipare ai nostri eventi e che gli organizzatori volutamente escludono semplicemente perché non hanno voluto occuparsene.

Probabilmente oggi assistiamo all'aprirsi di un'ulteriore fase di lavoro per questa Madonna operosa che si accinge a "ricamare" attraverso gli uomini, una nuova stagione tessuta con il suo infinito filo di pazienza.

Resa visibile dal pennello di Vitale nella chiesa di san Francesco, ha seguito poi le storie degli uomini, pellegrina di casa in casa: dalle residenze Beccadelli, alla Pinacoteca nazionale di Bologna, adesso presso le collezioni della Fondazione Cassa di Risparmio di Bologna. Spostamenti in qualche modo determinati dagli eredi di quei Beccadelli che vollero sottrarre all'oblio la venerata immagine in San Francesco e che in ultimo, apparentemente lontani da quell'antica pietas, hanno optato per la donazione dell'opera alla Fondazione.

Ed è qui che il dipinto riprende a comunicare, a trasmettere le sensazioni che solo la straordinaria bellezza dell'opera sa dare, obbligando a guardare in ogni sua piega il dipinto per carpirne i segreti che ancora custodisce.

Probabilmente siamo davanti solo ad un'ulteriore tappa di questo straordinario cammino che adesso approfondisce gli sviluppi stilistici, aprendo contemporaneamente all'Integrazione e ribadendo al contempo il misterioso rapporto Madre - Figlio, che caratterizza questa "Icona" occidentale.

Un grazie sentito al Prof. Fabio Roversi Monaco che ha accolto con interesse questa mia proposta e all'On. Marabini che l'ha caldeggiata. Un grazie a tutte le persone che mi hanno aiutato a portare avanti l'iniziativa e in particolare a Beatrice Buscaroli che è stata la prima sostenitrice del progetto e alla dott.ssa  Angela Nardi che ha affiancato l'evento in tutte le fasi operative. Con Rosa d'Amico e Camillo Tarozzi, abbiamo vissuto una bella esperienza di lavoro, condividendo sensazioni, perplessità, momenti di gioia davanti all'opera che, "guardata" assieme, rivelava ulteriormente i suoi valori pittori e iconografici. Abbiamo così scelto di integrare il dipinto chiudendo alcune piccole mancanze di colore sul velo della Madonna e sul fondo del cielo. Un lavoro effettuato alla ricerca del giusto equilibrio che non alterasse in nessun modo quel magico incontro tra Madre e Figlio.

Speriamo di esserci riusciti.




 
 
 
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