Calice eseguito da Zanobio Troni - San Giacomo Maggiore

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Calice eseguito da Zanobio Troni

Argenteria in San Giacomo > Calici


E finalmente troviamo anche un calice dal pertinente significato eucaristico, rispondente alle instructiones del Borromeo, ma probabilmente ormai ignaro di quel messaggio. È il calice eseguito da Zanobio Troni.
Roversi apprezza il calice  e identifica i soggetti  rappresentati sul piede e sulla coppa riportando poi il parere dell'Oretti che  dice l'opera di Zanobio Troni. Non sappiamo se Oretti l'attribuisce su basi stilistiche, documentarie o perché abbia letto il suo marchio sull'opera. Roversi non sembra averlo identificato. In occasione dello studio per questa presentazione è stato comunque possibile riscontrare le iniziali dell'orafo sul bordo esterno del piede. Le iniziali del nome e cognome: Zanobio Troni.
L'argentiere nato a Livorno, ma naturalizzato bolognese, è immatricolato tra gli argentieri della città dal 1733 dopo aver ricevuto la cittadinanza nel 1730. È ancora Bulgari nel suo insostituibile regesto di orefici dell'Emilia e della Romagna a dare dell'argentiere alcune note d'archivio che se ne consentono il recupero cronologico, non aiutano comunque a definire la formazione e la personalità artistica di un maestro che, dalle poche opere che gli sono riconosciute, appare di sicuro interesse. A queste scarne note documentarie possiamo aggiungere le considerazioni dell'Oretti "... bravo maestro di cesello. Venne a Bologna da Giovinetto e con frequenza di pittori apparò il disegno e fece lavori bellissimi in argento tanto di figura quanto di altre maniere di disegno
".
Un giudizio significativo che trova riscontro nell'opera in cui le scene fanno presupporre la conoscenza del disegno e la frequentazione del mondo accademico bolognese della metà del secolo.  Lo prova l'immediato riscontro con l'organizzazione delle  figure nelle microscopiche rappresentazioni poste sul piede e sulla coppa. In particolare notiamo come il gruppo di Cristo flagellato
alla colonna risente del modello di Alessandro Algardi oggi al Metropolitan Museum di New York. Un modello molto fortunato, riproposto dall'Algardi altre volte, e ripreso da numerose repliche. Più che naturale quindi il ritrovarlo su un'oreficeria, sia pure a un secolo di distanza rispetto al prototipo. Scene caratterizzate da un espressionismo urlato che riesce a imprimere molta forza nella fusione in argento, sconvolgendo le espressioni dei volti  esagitati per il dolore o per la rabbia degli aguzzini, improvvisamente silenti nel gruppo delle donne che, quasi nascoste, assistono al supplizio. Ritmi intensi che occupano per intero lo spazio, movimenti concitati come se avessero in mente il contemporaneo Crespi. Ma il rapporto più significativo è quello iconografico che possiamo cogliere nel suo più vero significato solo se leggiamo tutto il ciclo figurativo fuso sul piede e sul sottocoppa e poi riusciamo a collegarlo con la funzione liturgica che caratterizza il calice. Sul piede tre scene legate alla "Passione": Gesù nell'orto degli ulivi, la flagellazione, Gesù che cade sotto la croce. Sulla coppa La resurrezione, l'Assunzione e l'incoronazione della Vergine da parte della  trinità. Sulla coppa alla resurrezione vengono associati due episodi mariani: l'Assunzione della Vergine, quasi alter ego della resurrezione di Cristo, e l'incoronazione della Vergine che vede assieme la trinità con il Cristo riassorbito nel seno del Padre e la Madre associata allo stesso mistero trinitario. Ciò che manca è il culmine della passione, non troviamo raffigurata  la Crocifissione, l'effusione del Sangue e l'esposizione del Corpo del Cristo.
Manca perché questa storia scolpita è completata dalla funzione liturgica del calice destinato a ospitare la presenza reale del sangue del Cristo. La croce non c'è perché il cruento sacrifico è stato qui sostituito dal mistico sacrifico della celebrazione eucaristica. Ciò che manca nel ciclo narrativo si completa e diventa visibile durante  la celebrazione eucaristica. Una simbologia che riesce a amalgamare la storia della Passione con il continuo ripetersi dell'effusione del sangue. Il ciclo iconografico insomma si completa con l'azione liturgica che richiama il mistico sacrifico e si sostituisce alla Croce. Ancora una volta un oggetto d'arte penetra la liturgia e offre una lettura inaspettata, magari nascosta, che è necessario saper leggere, ma credo sufficientemente verosimile. lo fa con strumenti stilistici della sua epoca e, tanto per tornare ad esaminare uno degli elementi del calice più di altri soggetto a mutare, possiamo qui cogliere la trasformazione del nodo. Nel nostro primo calice, databile nel primo o secondo decennio del XVII secolo, era costituito da un motivo a pigna. Quell'elemento, attraverso  una lenta e progressiva trasformazione, durante un secolo, è diventato un lungo articolato stelo
, suddiviso in più lati delimitati da lesene ognuno dei quali ospita un puttino. Una trasformazione simile a quella del piede la cui dimensione circolare degli inizi del secolo precedente tende a mutare, a muoversi e ritmare il piede con morbide scanalature e anse, molto diverse dai polilobi del XV e XVI secolo e pure ancora una volta innovativi rispetto al piede circolare.
Né è possibile tacere della tecnica esecutiva dell'opera. Vorrei soprattutto sottolineare il caratteristico assemblaggio delle formelle
fuse con le storie cristologiche e mariane, che sono state eseguite a parte e poi ancorate con delle linguelle ribattute sul rovescio della lamina sbalzata. E' possibile cogliere il particolare sul rovescio del sottocoppa, facilmente ispezionabile.

La familiarità con i pittori che disegnavano è ben riscontrabile nelle formelle che caratterizzano alcuni grandi maestri argentieri e, tra gli altri, il forlivese Giovanni Giardini che opera a Roma e del quale si custodisce a Forlì il bel reliquiario di san Mercuriale
, con analoghe scene fuse e applicate alla lamina del reliquiario. Il Giardini è anche l'autore di un celebre repertorio di disegni per argentieri, molto usato e probabilmente noto al nostro Troni il cui profilo culturale, che abbiamo appena accennato, andrà approfondito. Quanto all'esecuzione dell'opera, pur non avendo potuto indagare il rapporto con altre opere note del maestro, credo sia sufficientemente credibile una datazione intorno alla metà del secolo XVIII.

Questo calice "eucaristico" ci consente un rapido cenno al culto di visione dell'Eucaristia che ha bisogno dell'Ostensorio per mostrare l'Eucaristia, per portarla processionalmente, per consentire la sua adorazione.

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