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Il dipinto su tavola come la intendiamo oggi è diventato un importante elemento della pittura in Occidente latino solo nel 13 ° secolo, anche se singoli pannelli in forma di icone venerabili esistevano, in particolare a Roma, dal 6 ° secolo. Al contrario, le tavole sotto forma di icone avevano una storia interrotta in Bisanzio. Le ragioni della grande diffusione delle icone erano legate, naturalmente, alla loro indispensabilità nella chiesa durante la celebrazione della liturgia, nonché per la venerazione personale a casa, e durante il viaggio. L’improvvisa diffusione di una produzione di massa della pittura su tavola nel 13 ° secolo nell'Occidente latino, e specialmente in Italia, in uno stile che gli scrittori del Rinascimento correttamente chiamano Maniera greca, è stato certamente determinato da una forte influenza del mondo greco Orientale. Mentre gli studi storico-
(1) come fanno gli artisti occidentali, in Terra Santa, a reagire all'arte bizantina che li circonda, sia per quanto riguarda l'iconografia che lo stile;
(2) come confrontare le icone crociate con le tavole dipinte del luogo che presumiamo dipendevano da ciò che gli artisti crociati inviavano o portavano a casa? Punto (Osservazione) (3) a cui dedicheremo particolare attenzione, riguarda la funzione degli oggetti in esame.
Va tenuto conto che le icone sono integrate nel servizio liturgico e svolgono pertanto un ruolo speciale che non ha equivalenti nella chiesa occidentale. Le Icone hanno varie forme e funzioni a seconda che facciano parte dell'iconostasi o siano appese permanentemente alle pareti o siano portatili per essere esposte in determinati giorni sul proskynetarion (davanti all’iconostasi). In Occidente latino il luogo principale per il dipinto è l'altare, in Oriente non è mai utilizzato per questo scopo, e da questo uso diverso risulta la necessità di adattare o trasformare un'icona in una tavola d'altare.
Vorrei iniziare con le immagini di due Madonne con Bambino, uno riprodotta molto spesso e l'altra molto raramente. La più popolare è l’Odigitria che tiene il bambino su un braccio, dal nome del monastero dell’ Hodegon, la cui fama deriva dal fatto che questa icona era il palladio della città di Costantinopoli (4). Questo è il tipo che vediamo in una tavola della seconda metà del 13° secolo nel Museo Nazionale di Pisa (fig. 60), eseguito da un pittore pisano (5) e copiato da un modello bizantino, databile non molto prima. Vi è un'icona a mosaico della Odighitria della prima metà del 13 ° secolo (fig. 61) sul Sinai, che è di altissima qualità e sicuramente il lavoro di un artista costantinopolitano (6). Guardando il volto della Vergine pisana (fig. 60),con gli occhi spalancati e il naso rincagnato del Cristo bambino, l'artista italiano ha copiato il modello bizantino di questo tipo con grande empatia (partecipazione, adesione) e questo vale anche per le luci delicate e (i motivi ornamentali dell’aureola dorata) [altamente ornamentali zed d'oro] sul capo, un motivo, che questo esempio mostra stimolata dalla tecnica del mosaico. Anche il modello di traforo dell’aureola della Vergine pisana ha il suo parallelo sullo sfondo dell'icona a mosaico, un modello che molto probabilmente ha la sua sorgente ultima nello smalto cloisonné. E tuttavia non si identifica la Vergine pisana con una icona bizantina.
L’incontro della Vergine con lo spettatore, guardanto dritto negli occhi, la plasticità maggiore e più tagliente delle linee del suo volto e la carnosità del volto di Cristo sono tutte caratteristiche di un pittore italiano, che si impegna in un maggior naturalismo che le icone bizantine non hanno mai condiviso. Vorrei porre tra le due icone Odigitria una terza (fig. 62) della collezione Sinai. Iconograficamente è ovviamente più vicina all’icona pisana e ciò significa in questo caso più vicina all’archetipo bizantino. D'altro canto la faccia è più conforme a quella della Vergine in mosaico. Pur non essendo altrettanto raffinato, l'artista si impegna a raggiungere un grado simile di distacco anche se non del tutto riuscito. Questa Virgine non è umana come quella pisana da un lato e non è spirituale quanto la Vergine a mosaico dall'altro. Si ha l'impressione di un lavoro che ha una certa ambiguità, non essendo né italiana, né autenticamente bizantina. È un dato di fatto è il prodotto di un artista crociato e la prova è il rovescio di questa icona bilaterale. Qui i santi soldati greci Sergio e Bacco sono raffigurati nelle vesti di Cavalieri Crociati in maglia occidentale, quella che tiene il loro insignium, lo stendardo con la croce rossa su fondo bianco. Ci sono al Sinai circa una dozzina di icone di questo artista che, forse, sono arrivate dal sud d'Italia, anche se questo è ancora una questione aperta, e che, a causa dell'esistenza di un gruppo omogeneo, piuttosto grande, può aver lavorato sul Sinai. Ciò che impariamo dal confronto delle icone della Vergine che ho visto finora è che l'artista Crociato è più fedele al modello bizantino che il pittore pisano che ha lavorato sul terreno di casa.
La seconda immagine della Vergine ad essere discussa e che è piuttosto rara in Italia, è rappresentata al meglio da un pannello nella chiesa di S. Martino in Velletri (fig. 63) della fine del secolo 13° ( 9). Le caratteristiche più significative sono la precaria postura frontale di Cristo che non poggia saldamente sulla mano della Vergine, ma è a cavallo con le gambe e cercando di tenersi in equilibrio afferra il velo della Vergine, mentre il braccio destro penzola apparentemente senza scopo. Altre caratteristiche tipiche sono il velo della Vergine coperto dalla paenula. Nell’Oriente bizantino questo tipo è ben noto come la Vergine del monastero di Kykko a Cipro. Coperto dal 16 ° secolo con un rilievo in argento e quindi invisibile oggi, la prima copia della Kykkotissa è sul Sinai del primo periodo Comneno i. e. tra l’ 11-
Qui il Cristo bambino, piuttosto calmo e reclinato, è anche sostenuto dal braccio destro della Vergine e il braccio sinistro di Cristo posa su una gamba invece di afferrare il velo. Allo stesso tempo la Vergine condivide con la Kykkotissa del Sinai lo sguardo desolato al posto del sguardo dello spettatore. Ci sono sul Sinai alcune notevoli, grandi icone della prima metà del 13 ° secolo nelle quali le cornici presentavano scene della vita del santo che è raffigurato al centro sia come un busto o a figura intera. Un'icona di S. Caterina (fig. 66), conservata nel monastero del Sinai 12 è così vicina a quella di un pannello ancora più grande (fig. 67) nel Museo Nazionale di Pisa, già nella chiesa di S. Silvestro ed eseguito da un pittore pisano intorno al 1250-
Nonostante questa differenza fondamentale tra l'Europa orientale e l'uso in Occidente, la trave con l’iconostasi ha avuto un impatto sulla pittura del duecento. Su un piccolo dossale i pittori italiani sono stati in grado di rappresentare almeno una versione abbreviata, del programma della trave e adattarlo come numero di immagini trovando posto entro i limiti della larghezza di una mensa d'altare. Su un dossale (fig. 69) già sull'altare maggiore della chiesa di S. Silvestro e ora nel Museo Nazionale di Pisa, l'artista ha scelto la Deesis per il centro e ha reso le figure iconograficamente e stilisticamente -
E 'ragionevole supporre che la riduzione del ciclo di festa è stata confinata alla Passione.
Vorrei sottolineare con forza che le nostre osservazioni circa il ruolo delle icone crociate sono preliminari e costituiscono solo lo stringato canovaccio per un ulteriore nuovo approfondimento. L’argomento è molto vasto e maggiori dettagli dovranno essere sviluppati dalla ricerca futura. Il mio obiettivo è semplicemente quello di presentare alcune generalizzazioni che possono essere riassunte come segue:
(1) Anche tenendo in considerazione le perdite considerevoli è del tutto evidente che le poche icone bizantine in Italia e nel resto dell'Occidente latino non possono essere prese come unica fonte per la Maniera Greca in Italia e lo stile Bizantineggiante del13 ° secolo in Europa in generale.
(2) Come evidenziato dalla vasta collezione di icone crociate riuniti sul Sinai, non c’è alcun dubbio che un numero considerevole di pittori in prevalenza italiani e francesi sono andati in Terra Santa – ove si trovava il Sinai, che allora faceva parte Palaestina Tertia -
(3) mentre alcuni artisti continuarono in Oriente lo stile che avevano portato dalla patria, la maggior parte ha copiato i contemporanei modelli bizantini così fedelmente e con tale adesione che, per l’occasione, hanno prodotto quadri in cui una netta distinzione tra Oriente e mani occidentali è spesso difficile da fare. Questo, per essere sicuri, è in parte dovuto al nostro stato imperfetto della conoscenza. Tuttavia, in Patria lo stile Byzantino è stato, in misura maggiore o minore, assorbito nella tradizione locale italiana e francese.
(4) per determinati soggetti l'accettazione di un’iconografia bizantina, in particolare immagini di festa come l'Annunciazione, la Crocifissione, la Deposizione dalla Croce sarebbe stato accettato senza esitazioni e fedelmente. In altri casi le modifiche sarebbero state intenzionali, come nella Pentecoste dove Pietro è posto nel centro invece di condividere il posto con Paolo. O verranno aggiunti degli attributi mettendo una spada nelle mani di Paolo.
(5) La trasformazione di un'icona in una tavola d'altare ha portato dei cambiamenti formali necessari. In occidente le diverse forme dei pannelli dovevano essere adattati alla tavola d'altare predominante, sia nel grande formato che in un dossale. Mentre vi è stato un grande studio di scultura crociata, nessuno studio adeguato di lavorazione dei metalli, ad esempio, è stato intrapreso. Comunque sia, icone e dipinti su tavola assumono un ruolo centrale, a causa della loro importanza rituale e devozionale. In questo settore in particolare le opere del Sinai hanno fornito una base più ampia per una discussione rinnovata delle fonti della Maniera Greca e il ruolo di intermediario dell’arte crociata.