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Kurt Weitzmann - Le Icone crociate e la “maniera greca”

 


Il  dipinto su tavola come la intendiamo oggi è diventato un importante elemento della pittura in Occidente latino solo nel 13 ° secolo, anche se  singoli pannelli in forma di icone venerabili esistevano, in particolare a Roma, dal 6 ° secolo. Al contrario, le tavole sotto forma di icone avevano una storia interrotta in Bisanzio. Le ragioni della grande diffusione delle icone erano legate, naturalmente, alla loro indispensabilità nella chiesa durante la celebrazione della liturgia, nonché per la venerazione personale a casa, e durante il viaggio. L’improvvisa diffusione di una produzione di massa della pittura su tavola nel 13 ° secolo nell'Occidente latino, e specialmente in Italia, in uno stile che gli scrittori del Rinascimento correttamente chiamano Maniera greca, è stato certamente determinato da una forte influenza del mondo greco Orientale. Mentre gli studi storico-artistici hanno speso molte energie nella definizione delle varie scuole e maestri di pittura del Duecento, molto raramente le opere sono state confrontate con gli originali bizantini da cui traevano la loro ispirazione. Questo, a dire il vero, non è dipeso da mancanza di interesse per il problema, ma semplicemente perché a sua volta la storia dell'arte bizantina non era sufficientemente sviluppata per fornire un quadro relativamente chiaro della pittura di icone nel 13 ° secolo. Esistono alcune icone bizantine che sono  giunte nell’Occidente latino nei secoli 12 ° e 13 °, ma sono sorprendentemente in numero limitato. Non solo queste icone appartengono ad una tipologia che raramente è stata imitata nell’Occidente latino, ma tali icone sono troppo poche per poter essere considerate all’origine di un movimento di massa nel creare dipinti su tavola nello stile della Maniera Greca. Storicamente è importante rendersi conto che la diffusione della Maniera greca coincide con l'instaurazione del regno latino di Costantinopoli e con l'occupazione di Cipro, Siria e Palestina da parte dei Crociati. Questa occupazione ha dato l'opportunità ad artisti occidentali di viaggiare sempre più a est e di studiare la maniera bizantina e vi sono oggi prove sufficienti che gli artisti hanno approfittato di questa opportunità. Le icone sono state prodotte in un numero considerevole a Cipro da artisti crociati, sebbene la maggior parte risalgono a dopo la caduta di Acri nel 1291, quando i crociati, in fuga dalla Palestina, si rifugiarono su quest'isola. Tuttavia di gran lunga il più grande gruppo (concentrazione) di icone crociate è custodito in Palestina e ciò per l'ovvia ragione che solo in Terra Santa si fermò un numero ragguardevole di emigranti occidentali. Mentre, solo alcune icone crociate - delle quali  se ne conservano più di 120 nel monastero di S. Caterina sul Monte Sinai - appartengono al 12 ° secolo, la stragrande maggioranza sono del 13 °, e soprattutto della seconda metà del 13 ° secolo. Ciò significa che la maggioranza deve essere stata eseguita o in Acri o sul Sinai da artisti provenienti da San Giovanni d'Acri che hanno lavorato temporaneamente nel monastero, in un momento in cui esisteva una colonia di monaci latini che avevano la loro cappella, chiamata “di Santa Caterina dei Franchi”. Alcuni dei prodotti crociati, poi, a quanto pare devono essere associati alla decorazione di questa cappella. Ora, poiché la maggior parte dei pannelli del duecento che andremo ad esaminare per un confronto appartengono alla seconda metà del 13 ° secolo, ne consegue che siamo in grado di affrontare più o meno prodotti tra loro contemporanei. Il problema principale di cui ci occupiamo, quindi, è triplice:
(1) come fanno gli artisti occidentali, in Terra Santa, a reagire all'arte bizantina che li circonda, sia per quanto riguarda l'iconografia che lo stile;
(2) come confrontare le icone crociate con le tavole dipinte del luogo che presumiamo dipendevano da ciò che gli artisti crociati inviavano o portavano a casa? Punto (Osservazione) (3) a cui dedicheremo particolare attenzione, riguarda la funzione degli oggetti in esame.
Va tenuto conto che le icone sono integrate nel servizio liturgico e svolgono pertanto un ruolo speciale che non ha equivalenti nella chiesa occidentale. Le Icone hanno varie forme e funzioni a seconda che facciano parte dell'iconostasi o siano appese permanentemente alle pareti o siano portatili per essere esposte in determinati giorni sul proskynetarion (davanti all’iconostasi). In Occidente latino il luogo principale per il dipinto è l'altare, in Oriente non è mai utilizzato per questo scopo, e da questo uso diverso risulta la necessità di adattare o trasformare un'icona in una tavola d'altare.
Vorrei iniziare con le immagini di due Madonne con Bambino, uno riprodotta molto spesso e l'altra molto raramente. La più popolare è l’Odigitria che tiene il bambino su un braccio, dal nome del monastero dell’ Hodegon, la cui fama deriva dal fatto che questa icona era il palladio della città di Costantinopoli (4). Questo è il tipo che vediamo in una tavola della seconda metà del 13° secolo nel Museo Nazionale di Pisa (fig. 60), eseguito da un pittore pisano (5) e copiato da un modello bizantino, databile non molto prima. Vi è un'icona a mosaico della Odighitria della prima metà del 13 ° secolo (fig. 61) sul Sinai, che è di altissima qualità e sicuramente il lavoro di un artista costantinopolitano (6). Guardando il volto della Vergine pisana  (fig. 60),con gli occhi spalancati e il naso rincagnato del Cristo bambino, l'artista italiano ha copiato il modello bizantino di questo tipo con grande empatia (partecipazione, adesione) e questo vale anche per le luci delicate e (i motivi ornamentali dell’aureola dorata) [altamente ornamentali zed d'oro] sul capo, un motivo, che questo esempio mostra stimolata dalla tecnica del mosaico. Anche il modello di traforo dell’aureola della Vergine pisana ha il suo parallelo sullo sfondo dell'icona a mosaico, un modello che molto probabilmente ha la sua sorgente ultima nello smalto cloisonné. E tuttavia non si identifica la Vergine pisana con una icona bizantina.

L’incontro della Vergine con lo spettatore, guardanto dritto negli occhi, la plasticità maggiore e più tagliente delle linee del suo volto e la carnosità del volto di Cristo sono tutte caratteristiche di un pittore italiano, che si impegna in un maggior naturalismo che le icone bizantine non hanno mai condiviso. Vorrei porre tra le due icone Odigitria una terza (fig. 62) della collezione Sinai. Iconograficamente è ovviamente più vicina all’icona  pisana e ciò significa in questo caso più vicina all’archetipo bizantino. D'altro canto la faccia è  più conforme a quella della Vergine in mosaico. Pur non essendo altrettanto raffinato, l'artista si impegna a raggiungere un grado simile di distacco anche se non del tutto riuscito. Questa Virgine non è umana come quella pisana da un lato e non è spirituale quanto la Vergine a mosaico dall'altro. Si ha l'impressione di un lavoro che ha una certa ambiguità, non essendo né italiana, né autenticamente bizantina. È un dato di fatto è il prodotto di un artista crociato e la prova è il rovescio di questa icona bilaterale. Qui i santi soldati greci Sergio e Bacco sono raffigurati nelle vesti di Cavalieri Crociati in maglia occidentale, quella che tiene il loro insignium, lo stendardo con la croce rossa su fondo bianco. Ci sono al Sinai circa una dozzina di icone di questo artista che, forse, sono arrivate dal sud d'Italia, anche se questo è ancora una questione aperta, e che, a causa dell'esistenza di un gruppo omogeneo, piuttosto grande, può aver lavorato sul Sinai. Ciò che impariamo dal confronto delle icone della Vergine che ho visto finora è che l'artista Crociato è più fedele al modello bizantino che il pittore pisano che ha lavorato sul terreno di casa.
La seconda immagine della Vergine ad essere discussa e che è piuttosto rara in Italia, è rappresentata al meglio da un pannello nella chiesa di S. Martino in Velletri (fig. 63) della fine del secolo 13° ( 9). Le caratteristiche più significative sono la precaria postura frontale di Cristo che non poggia saldamente sulla mano della Vergine, ma è a cavallo con le gambe e cercando di tenersi in equilibrio afferra il velo della Vergine, mentre il braccio destro penzola apparentemente senza scopo. Altre caratteristiche tipiche sono il velo della Vergine coperto dalla paenula. Nell’Oriente bizantino questo tipo è ben noto come la Vergine del monastero di Kykko a Cipro. Coperto dal 16 ° secolo con un rilievo in argento e quindi invisibile oggi, la prima copia della Kykkotissa è sul Sinai del primo periodo Comneno i. e. tra l’ 11-12 ° secolo (10). E l'unico esempio che io conosca che raffigura la Vergine a figura intera seduta su un trono (fig. 64). In questa icona il Cristo bambino non indossa la caratteristica cintura sopra la tunica, ma per altro verso è decisamente più vicino all'archetipo. Il braccio destro della Vergine viene sollevato e in mano e tiene un rotolo che Cristo tiene in una posa troppo agitata. Nella Vergine di Velletri l'artista utilizza il braccio destro della Vergine piuttosto allo scopo di stringere il bambino più saldamente contro il suo petto - un cambiamento che presenta un nuovo rapporto tra madre e figlio. Questa più realistica posa del pittore di Velletri non è affatto una deviazione dall'archetipo limitata ad un singolo artista, in quanto si verifica su un icona Crociata sul Sinai (fig. 63), che forma l'ala di un dittico eseguito da un italiano, probabilmente un maestro veneziano, nella seconda metà del 13 ° secolo.
Qui il Cristo bambino, piuttosto calmo e reclinato, è anche sostenuto dal braccio destro della Vergine e il braccio sinistro di Cristo posa su una gamba invece di afferrare il velo. Allo stesso tempo la Vergine condivide con la Kykkotissa del Sinai lo sguardo desolato al posto del sguardo dello spettatore. Ci sono sul Sinai alcune notevoli, grandi icone della prima metà del 13 ° secolo nelle quali le cornici presentavano scene della vita del santo che è raffigurato al centro sia come un busto o a figura intera. Un'icona di S. Caterina (fig. 66), conservata nel monastero del Sinai 12 è così vicina a quella di un pannello ancora più grande (fig. 67) nel Museo Nazionale di Pisa, già nella chiesa di S. Silvestro ed eseguito da un pittore pisano intorno al 1250-1260, che una dipendenza da un modello bizantino non può essere messa in dubbio. L'unico cambiamento di fondo sta nel costume. Mentre nella santa Caterina del Sinai le scene circondano la figura centrale su tutti i lati -. uno schema molto raro in Italia e trovato su due icone in Puglia – nella tavola  pisana fiancheggiano la Santa a sinistra e a destra. Inoltre negli angoli superiori obliqui si noterà un dossale a due spioventi, e quindi gotico. Come risultato di questi cambiamenti formali la Caterina bizantina, essendo circondata da scene provenienti da tutti i lati, dà l'impressione di essere sollevata dalla terra e fermarsi in cielo, mentre la Caterina pisana, mancando le scena sulla striscia inferiore, si trova saldamente sull'altare, cioè ancora in questo mondo, e quindi comunica più direttamente con lo spettatore. In termini generali, questo significa un cambiamento da un oggetto di culto a un'immagine devozionale e qui abbiamo in nuce la differenza fondamentale tra un icona e un pannello d’altare. Mentre per la trasformazione di un'icona in una tavola d'altare sono state apportate solo poche, ma decisive modifiche, di più ampia portata sono le variazioni necessarie quando un artista latino ha provato a copiare alcune funzionalità dell’iconostasi, che non ha equivalenti nella chiesa occidentale. Un punto focale della iconostasi è la trabeazione sopra le quattro icone principali. Vorrei dimostrare come tali travi, dipinti cioè di una forma insolita, hanno avuto un impatto sull’arte Crociata e, attraverso di essa, sulla pittura del duecento. La trave (L'iconostasi) completa ha al centro la Deesis, cioè Cristo affiancato dalla Vergine e Giovanni Battista, poi gli arcangeli, i 12 apostoli e le rappresentazioni delle dodici grandi feste, il dodecaorton. Una trave di iconostasi di questo tipo, anche se senza il dodecaorton, fu il modello per un artista crociato che ha eseguito un dipinto (fig. 68), ora collocato nel magazzino delle icone, ma presumibilmente preparato per la cappella latina del Sinai chiamata “di Santa Caterina dei Franchi” (15). Le piccole dimensioni di questa cappella può essere stata la causa della riduzione del numero degli Apostoli a sei e c'è solo un santo soldato alle due estremità. Ecco un artista italiano del terzo trimestre del 13 ° secolo che aveva studiato modelli bizantini con grande interesse e con pochi adattamenti iconografici e formali al gusto occidentale. Le figure sono poste sotto archi gotici, invece di archi a tutto sesto preferiti dai Bizantini. Più notevole è il fatto stesso che un artista italiano a Sinai è arrivato al punto di adattare una trave di iconostasi per la decorazione della cappella occidentale.

Nonostante questa differenza fondamentale tra l'Europa orientale e l'uso in Occidente, la trave con l’iconostasi ha avuto un impatto sulla pittura del duecento. Su un piccolo dossale i pittori italiani sono stati in grado di rappresentare almeno una versione  abbreviata, del programma della trave e adattarlo come numero di immagini trovando posto entro i limiti della larghezza di una mensa d'altare. Su un dossale (fig. 69) già sull'altare maggiore della chiesa di S. Silvestro e ora nel Museo Nazionale di Pisa, l'artista ha scelto la Deesis per il centro e ha reso le figure iconograficamente e stilisticamente - una necessità : solo per evidenziare i riflessi dorati - con tipi che sono molto vicini a un modello bizantino. Gli archi sono più appuntiti che nell’iconostasi del Sinai e dando al dossale una forma di bassa capanna le tavole della trave hanno lasciato il posto ad una forma più appropriata per una tavola d'altare. Un'altra selezione di figure è stata fatta in un dossale (fig. 70), ora agli Uffizi di Firenze, datato 1271 e firmato dal maestro fiorentino Megliore (17). Ancora una volta ci sono cinque arcate, la centrale deve essere riservata alla Deesis, mentre gli altri due, altrettanto opportunamente, sono occupati da Pietro e Paolo. La peculiarità della trave (iconostasi) è un po’  meglio evidenziata  limitando il timpano per l'arco centrale. Nell’iconostasi bizantina le assi delle dodici grandi feste (fig. 71) fiancheggiano la Deesis molto più frequentemente rispetto al dodici Apostoli. A questa tipologia appartengono un numero considerevole di opere recentemente venute alla luce sul Sinai appartenenti al 12 ° secolo e 13 (18). La più bella iconostasi esistente, almeno la metà di essa, è ora sul suolo italiano come parte del bottino di Venezia dopo il sacco di Costantinopoli nel 1204. E 'il fregio superiore della Pala d'Oro di San Marco (fig. 72), che è stata chiaramente riconosciuta da Hans Hahnloser come la metà destra di un’iconostasi con le feste canoniche dall'entrata in Gerusalemme per la koimesis. Eseguito con la tecnica raffinata di smalto cloisonné questa trave deve ancora una volta aver decorato una delle chiese più importanti di Costantinopoli. Travi d’iconostasi di questo tipo erano, come è stato supposto, l'ispirazione per i due pannelli (fig. 73) nella Galleria Nazionale di Perugia che sono della mano del Maestro di S. Francesco, un pittore umbro circa 1270-1280 (19), e una volta facevano parte di un dossale che comprendeva anche pannelli stretti con i santi in piedi. Sono tutte racchiuse da archi in rilievo di un genere che si trova anche su quattro pannelli bizantini di una iconostasi del 12 ° secolo. Le due scene, che rappresentano la Deposizione dalla Croce e il pianto sul Cristo morto, seguono molto da vicino l'iconografia bizantina. Mentre è lecito ritenere che i frammenti di Perugia appartenessero ad un dossale di cui si sono perdute altre parti, è altrettanto chiaro che un dossale non avrebbe mai potuto contenere l'intero ciclo delle dodici feste. Cinque scene sono circa il massimo che può ospitare un dossale. Garrison sostiene a ragione che la deposizione e il compianto erano a destra di una Crocifissione centrale.

E 'ragionevole supporre che la riduzione del ciclo di festa è stata confinata alla Passione.
Vorrei sottolineare con forza che le nostre osservazioni circa il ruolo delle icone crociate sono preliminari e costituiscono solo lo stringato canovaccio per un ulteriore nuovo approfondimento. L’argomento è molto vasto e maggiori dettagli dovranno essere sviluppati dalla ricerca futura. Il mio obiettivo è semplicemente quello di presentare alcune generalizzazioni che possono essere riassunte come segue:
(1) Anche tenendo in considerazione le perdite considerevoli è del tutto evidente che le poche icone bizantine in Italia e nel resto dell'Occidente latino non possono essere prese come unica fonte per la Maniera Greca in Italia e lo stile Bizantineggiante del13 ° secolo in Europa in generale.
(2) Come evidenziato dalla vasta collezione di icone crociate riuniti sul Sinai, non c’è alcun dubbio che un numero considerevole di pittori in prevalenza italiani e francesi sono andati in Terra Santa – ove si trovava il Sinai, che allora faceva parte Palaestina Tertia - non per dipingere un’opera occasionale, ma per stabilire fiorenti botteghe.
(3) mentre alcuni artisti continuarono in Oriente lo stile che avevano portato dalla patria, la maggior parte ha copiato i contemporanei modelli bizantini così fedelmente e con tale adesione che, per l’occasione, hanno prodotto quadri in cui una netta distinzione tra Oriente e mani occidentali è spesso difficile da fare. Questo, per essere sicuri, è in parte dovuto al nostro stato imperfetto della conoscenza. Tuttavia, in Patria lo stile Byzantino è stato, in misura maggiore o minore, assorbito nella tradizione locale italiana e francese.
(4) per determinati soggetti l'accettazione di un’iconografia bizantina, in particolare immagini di festa come l'Annunciazione, la Crocifissione, la Deposizione dalla Croce sarebbe stato accettato senza esitazioni e fedelmente. In altri casi le modifiche sarebbero state intenzionali, come nella Pentecoste dove Pietro è posto nel centro invece di condividere il posto con Paolo. O verranno aggiunti degli attributi mettendo una spada nelle mani di Paolo.
(5) La trasformazione di un'icona in una tavola d'altare ha portato dei cambiamenti formali necessari. In occidente le diverse forme dei pannelli dovevano essere adattati alla tavola d'altare predominante, sia nel grande formato che in un dossale. Mentre vi è stato un grande studio di scultura crociata, nessuno studio adeguato di lavorazione dei metalli, ad esempio, è stato intrapreso. Comunque sia, icone e dipinti su tavola assumono un ruolo centrale, a causa della loro importanza rituale e devozionale. In questo settore in particolare le opere del Sinai hanno fornito una base più ampia per una discussione rinnovata delle fonti della Maniera Greca e il ruolo di intermediario dell’arte crociata.




 
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