20 - Miracoli davanti alla tomba del Santo - chiesa dei servi

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20 - Miracoli davanti alla tomba del Santo

Affreschi portico > storie san Filippo Benizzi
COME POSTO IN CHIESA IL CORPO DEL B. FILIPPO SEGUIRONO MOLTI MIRACOLI E GRAZIE AL POPOLO

Così l’incipit del libro quarto della Historia del B. Filippo Benizii composta dal P.M. Arcangelo Giani e dato alle stampe nel 1604. E con la rappresentazione di alcuni di questi miracoli si chiude il ciclo figurato della vita del Beato Filippo Benizi, in 20 storie, dipinto sotto il portico esterno della chiesa dei Servi di Maria a Bologna. Scene dipinte “da’ nostri più valenti odierni maestri” come ricorda il Malvasia che scrive subito dopo la realizzazione del ciclo pittorico. Cronologicamente ultima di queste scene e “prima” fisicamente se – seguendo Malvasia - si comincia la lettura dal fondo del portico, troviamo la raffigurazione del “figlio risuscitato, e ‘l cieco alla sepoltura del Benicio” che  “è ammiratissima opera del gran Cignani”.

I miracoli accaddero davanti alla salma ancora non sepolta del Santo, ma l’affresco accentua viceversa la monumentalità del sarcofago davanti al quale giace il corpo senza vita di un giovane che, stando al racconto tratto dalla vita, era stato ucciso dai lupi mentre custodiva il gregge. La madre, affranta dal dolore, dopo averlo vegliato tutta la notte, “la mattina, in compagnia di molti vicini, prese partito di portare quel corpo coì morto alla chiesa di S. Marco in Todi con ferma speranza, e fede di riaverlo vivo, gridano per tutta la strada, e raccomandandolo a san Filippo”. Il pittore riesce a isolare il gruppo madre-figlio sullo sfondo della pietra del sarcofago, creando uno spazio di solitudine-silenzio e separando l’intensità di questo rapporto d’amore da quanti partecipano al lutto, quasi assiepati sulla parte destra della scena, ma distanti, in modo da lasciare uno spazio di preghiera e attenzione verso la madre, anch’essa quasi staccata dal figlio, come a favorire l’azione salvifica del Santo. Isolati in uno spazio metafisico schermato dal sarcofago, si dissociano dai rumori, dalla vivacità di quanti aspettano il miracolo. Vivono l’attesa nel silenzio ancor più vitale se confrontato al rimando di sguardi di quanti hanno accompagnato la madre e che adesso si interrogano vicendevolmente. Il pittore affida questo brusio al rimando degli occhi, al movimento delle mani, al fremito che percorre i corpi tracciati in profondità dal punteruolo sull’intonaco fresco e oggi ancora vibrante malgrado la perdita del colore. Una vibrazione perpetua delle membra nei due uomini dietro la madre che si quieta nella figura femminile che strige a sé due ragazzi. Figura al seguito o anch’essa supplice per una grazia sfuggita alle cronache e introdotta spontaneamente dal pittore? Figura ispirata alla più volte ripetuta “carità” del Cignani, particolarmente bella se immaginata con tutte le sue velature e la luce che doveva animare il volto e nel volto gli occhi oggi appena accennati. Proviamo a far scoprire questi particolari, introdotti dalla scrittura, attraverso delle immagini ad alta risoluzione per cogliere ciò che resta e immaginare la complessa scenografia.

La dinamica rappresentazione è suddivisa idealmente in due aree distinte: lo spazio per il miracolo e quello per la “folla”. L’area per i miracoli è delimitata dalla tomba del santo, spazio immobile, monocromo, ma pieno di vita trasmessa dal corpo esamine e ormai invisibile del Santo. Da un uomo morto nasce la vita. Dall’altro la vitalità degli astanti che si muovono, si interrogano, hanno (anzi avevano visto che non si vede più) per sfondo non una parete monolitica e grigia, ma la natura con i suoi paesaggi colorati e il cielo terso, ma è una vita che non riesce a generare altra vita se non nel momento in cui si tocca la pietra tombale e in pochi lo fanno. L’amore di una madre e dall’altro lato forse un padre che accompagna un figlio, comunque due uomini che toccano il sarcofago e  “vivono”, cioè a dire guariscono dai loro mali. Potrebbe trattarsi di quell’uomo “(dice la sua leggenda) che stava per la via d’Orvieto udita la fama dei miracoli del B. vi menò un suo figliuolo nato cieco il quale con gran fede raccomandatosigli a quella sepoltura riebbe la luce, el vedere, che mai haveva havuto.” La descrizione calza perfettamente alla rappresentazione che proviamo a valorizzare sempre con delle immagini ad alta definizione.
Nessun dubbio sull’esecuzione dell’opera da parte del Cignani , malgrado il pessimo stato conservativo in cui si trova, complice, probabilmente, una non  perfetta preparazione del supporto forse “sabotato” anche dall’invidia di maestri concorrenti a cui accennano misteriosamente le fonti.
Del dipinto resta un disegno autografo e alcune incisioni.

Particolari ad Alta Risoluzione
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